VESUVIO. Gigante buono

Mimmo, il vero pomodorino del piennolo vesuviano lo puoi trovare, al massimo, fino a settembre. Quello che mangiate voi a Napoli è na’ supponta, un surrogato. “
Questo è quello che mi ha sempre ripetuto Piero, che del Vesuvio è uno dei maggiori conoscitori in quanto, da anni, gestisce con la sua splendida signora Maria Rosaria, un caratteristico negozietto dove si organizzano succulenti degustazioni “teatralizzate” di prodotti tipici vesuviani. Ero impegnato sul Vesuvio lungo il sentiero del Parco n.9 denominato “Fiume di lava e proprio con Piero pianificavo i particolari del format enogastronomico che avremmo presentato ai turisti da lì a poco.
Il Vesuvio infatti ogni anno è visitato da più di mezzo milione di turisti provenienti da tutto il mondo, che ne fanno uno dei siti più popolari d’Italia. È simbolo di Napoli, una presenza discreta, familiare, quasi amica. In fondo se Napoli è considerata una delle città più belle al mondo è anche grazie a lui. Negli anni, grazie al mio lavoro di guida, ho percorso ogni centimetro quadrato di questo gigante buono, ne ho assaporato ogni sfumatura, esplorato ogni anfratto. Cercherò, in questo capitolo, di descrivervi un Vesuvio nuovo, inedito, emozionale, quasi sconosciuto al turismo di massa.

I suoi sentieri si snodano lungo canali di lava che conducono al cratere, dove a otto chilometri di profondità si nasconde un serbatoio di magma pronto a esplodere. O almeno questo è ciò che affermano i vulcanologi. Ma ai napoletani questo non fa paura così, durante i secoli, non sono bastate le numerose eruzioni catastrofiche a spopolare le sue pendici e i processi di ripopolamento, seppur lenti, inesorabilmente hanno fatto rifiorire questi luoghi e la vita in queste terre ha sempre trionfato sulla morte. Una sorta di rispetto reciproco testimoniata anche da una mostra di pop-art a cielo aperto che si incrocia lungo i pendii del vulcano, dal titolo “Creator Vesevo.” Un progetto ideato dall’architetto Massimo Iovino che ha coinvolto dieci tra i più noti ed importanti scultori europei (un solo italiano presente, Lello Esposito) che, con l’aiuto delle maestranze locali, hanno potuto scolpire, in loco, per la prima volta nella storia, la pietra del Vesuvio, nel pieno rispetto della biodiversità del luogo.
Le loro opere sono state collocate lungo la Strada che conduce al cratere senza alcuna illuminazione, per evitare inquinamento luminoso e danni alle specie animali. L’unica opera presente di un artista italiano è ”Gli occhi del Vesuvio”. Un’enorme maschera di Pulcinella che si interpone tra il Vesuvio e la città di Napoli, quasi a volerla proteggere dalla furia del vulcano, lasciando che lo stesso guardi il golfo di Napoli attraverso i suoi occhi scolpiti nella pietra lavica.

 

Questo territorio è oggi abitato da quasi due milioni di persone che stanno lì nonostante i ripetuti appelli dei vulcanologi sulla sua pericolosità. Ma perché i napoletani continuano a vivere ai piedi di una bomba ad orologeria? Perché non scappano tutti? Troppo fertili i terreni e abbondanti le risorse, spiegano gli studiosi.
Ma qui si va oltre. Per i napoletani il Vesuvio non è un vulcano da temere ma una tipica rappresentazione del folklore locale, una presenza silente e costante nelle case di ogni napoletano che si rispetti. Del resto a Napoli il Vesuvio lo puoi trovare dietro ogni cosa, dietro San Gennaro, dietro Massimo Troisi, dietro Maradona, dietro gli sposi, dietro i tick tocker e i posteggiatori di via Caracciolo. Per comprendere questa città bisogna partire dall’assunto che il Vesuvio non appartiene a Napoli ma è il contrario: è la città ad appartanere al Vesuvio! Il vulcano è l’essenziale, la città è l’accessorio. Questa premessa è utile anche per comprendere le mille emozioni che vivo periodicamente quando accompagno le persone lungo i sentieri del parco. Il sentiero più frequentato sul Vesuvio è, senza ombra di dubbio, il n. 5, quello del “Gran Cono” a quota 1000 m s.l.m. nel comune di Ercolano, al termine della Strada Provinciale. Ogni napoletano che si rispetti deve averlo percorso almeno una volta nella vita. È ‘l’unico sentiero del parco a pagamento e per l’accesso si acquista un biglietto on line. In realtà l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio ha realizzato una Sentieristica del Parco costituita da ben 11 sentieri per una lunghezza complessiva di 54 Km di camminamento. Gli interventi dell’ente hanno riguardato la mitigazione del rischio sui tracciati e l’allestimento attraverso una segnaletica specifica per ciascun sentiero, con una cartellonistica riportante le descrizioni delle principali emergenze naturalistiche, geologiche e storiche che si incontrano durante la passeggiata. Lungo tutti i sentieri sono stati realizzati interventi di stabilizzazione e consolidamento nel pieno rispetto dell’habitat naturale.
I sentieri sono suddivisi secondo la tipologia: 6 hanno natura circolari (n. 1,2,3,4,5 e 8), un sentiero panoramico (n.6), un sentiero agricolo (n.7) ed un sentiero educativo (n.9)
Ed è proprio lungo quest’ultimo percorso, in un assolato giorno di inizio giugno, che la mia vita si è incrociata con quella di Bernie.
Ma chi è Bernie?
Facciamo un passo indietro.

Ero all’Osservatorio Vesuviano per lavoro, in attesa di accompagnare un gruppo di turisti tedeschi lungo il sentiero Fiume di lava quando, ad un’ora dalla partenza, il mio sguardo viene rapito dalla sagoma di un ragazzone dai capelli lunghi ed il corpo interamente ricoperto da tatuaggi, che cammina lungo la statale, in direzione cratere. Indossa un enorme zaino il cui peso rende la sua andatura claudicante. Mi incuriosisce perché, mentre cammina, intona una melodia con la bocca ed accompagna ogni singolo passo con il battere ritmico delle mani. Un’orchestra in cammino. Ci salutiamo con un semplice ciao, poi mi chiede informazioni su come raggiungere il gran cono che, da dove siamo noi, dista qualche km. Tra l’altro tutti da percorrere sulla strada asfaltata che, visto l’enorme transito di bus turistici, non è proprio sicurissima. Mi propongo di accompagnarlo nel pomeriggio, al termine della mia escursione guidata. Nel frattempo può essere mio ospite ed aggregarsi al gruppo di turisti per godersi la suggestiva eruzione del 1944, quella del sentiero Fiume di lava, per l’appunto. Si propone come chiudi fila, forse perché in qualche modo vuole ricambiare la mia cortesia. L’itinerario del sentiero ripercorre i primi flussi turistici del Vesuvio del XVIII secolo che venivano su da Pugliano (l’attuale Ercolano) prima in sella ad un cavallo e poi su un trenino a cremagliera, fino alla stazione della funicolare. Proprio qui nacque la famosa canzone Funiculi’ funicula’ ispirata dall’inaugurazione della prima funicolare del Vesuvio, costruita nel 1879, per raggiungere la cima del vulcano. Il brano descrive ai napoletani e soprattutto ai turisti i vantaggi offerti dal nuovo mezzo di trasporto, che permetteva loro di salire senza fatica, ammirando il panorama sottostante. Io nel frattempo racconto ai turisti storie ed aneddoti legati al vulcano, gli parlo dell’atrio del cavallo e della verdeggiante valle che separa il monte Somma dal Vesuvio; offro loro una prospettiva inedita del vulcano mostrando la grande biodiversità. Gli parlo degli oltre 8 mila ettari che cingono il vulcano e delle 29 specie di mammiferi, due di anfibi, otto di rettili, 150 di uccelli e una lunga schiera di invertebrati, tra i quali 44 specie di lepidotteri diurni, farfalle svolazzanti sui prati in fiore. Poi gli mostro lo Stereocaulon Vesuvianum, un lichene endemico molto simile al muschio ma di colore argento, che dona all’intera vallata una suggestiva cornice lunare.
Bernie si dimostra un ottimo compagno di viaggio ed un attento ascoltatore. Parla abbastanza bene in italiano a differenza del mio inglese, decisamente scolastico. Sembra rapito ed ammaliato dalle mie parole che narrano dell’arte di arrangiarsi di un popolo che, da sempre, convive con il pericolo di un vulcano e che dallo stesso è riuscito a ricavarne profitto. Giunti sul belvedere lascio per qualche minuto i turisti liberi di scattare qualche foto allo splendido panorama che guarda verso Napoli e mi intrattengo con Bernie, il mio novello collaboratore. Gli domando dove è diretto, considerando il suo enorme zaino carico fino all’inverosimile che mal si concilia con una semplice escursione giornaliera sul Vesuvio. Mi spiega che ha origini italiane ed è partito da Canterbury, nel sud dell’Inghilterra, percorrendo tutta la via Francigena fino a Roma, attraversando Francia e Svizzera. Poi ha preso un treno ed è giunto a Napoli, da dove proseguire il suo cammino fino a Santa Maria di Leuca seguendo la via Francigena del sud che passa da Benevento. Prima però aveva voglia di vedere da vicino quel Vesuvio di cui tanto aveva sentito parlare da suo padre. Che del Vesuvio era figlio in quanto nato a San Sebastiano.
Conosco bene quei discorsi, conosco bene quegli occhi. Di solito dietro la storia di una persona che decide di percorrere, da solo e a piedi, centinaia di km, si nascondono eventi che hanno segnato, in qualche modo, irrimediabilmente la sua vita. Anche perché, in fondo, se lo scopo reale del suo viaggio fosse stata una semplice visita ai parenti, avrebbe potuto prendere un comodo aereo.
E allora gli faccio la fatidica domanda, proprio quella che tante volte avevano fatto a me a cui non sapevo dare una risposta:
“Perché stai camminando?” Cosa ti spinge a percorrere più di 1000 km a piedi e da solo?
Bernie abbozza un sorriso, poi beve un sorso d’acqua dalla sua borraccia e riprende a raccontare. Ma questa volta il suo tono di voce cambia, si fa più basso:
“Due anni fa ho subito un brutto incidente in moto, i medici hanno combattuto 15 ore per salvare la mia gamba. Avevo promesso a me stesso che se mai fossi riuscito di nuovo a camminare avrei percorso tutta la via Francigena a piedi passando per la casa dei miei nonni, a San Sebastiano, proprio alle pendici del Vesuvio.”
Rimasi in silenzio per qualche secondo. Mi ritrovavo nelle sue parole, mi rivedevo nei suoi discorsi anche se quella storia non mi apparteneva. Ho sempre pensato che al di là dei km percorsi, al di là delle mete raggiunte, per un viandante la vera conquista sta nel ritrovare se stessi aprendosi al prossimo, insomma una sorta di inconsapevole psicoterapia che spesso si compie proprio in cammino, da soli. Quando si e ‘più vulnerabili.
Poco prima del tramonto riportai il gruppo di turisti tedeschi al proprio bus e mi accingevo a mantenere la promessa fatta a Bernie al mattino, ovvero accompagnarlo al cratere. Mentre risalivamo il sentiero cominciò ad intonare di nuovo quel motivetto che cantava al mattino, accompagnandosi con le mani che battevano ritmicamente il passo. Aveva una senso del ritmo pazzesco.
Gli faccio i complimenti per la sua musicalità e lo invito ad una sosta al ristorante Vesum, che possiede una delle terrazze panoramiche più belle della Campania. Qui, davanti ad un calice bianco di Lacryma Christi, tra una parola e l’altra mi racconta che è un musicista, un batterista.
Ed io, alquanto incuriosito:
“ Hai una tua band”?
“Si, in realtà più di una”
“Avete una pagina social, un sito dove posso seguirvi”?
Mi gira una serie di foto sul cellulare di alcuni suoi concerti, dove si intravedono stadi pieni, gente in delirio, lui alla batteria ed un cantante dai lunghi capelli biondi e a torso nudo. In altre foto invece suona con un cantante che non faccio fatico a riconoscere subito.
“Bernie scusa ma questi sono Iggy Pop e Paul Mcartney” ?
“Si, li conosci ? Suono con entrambi da 10 anni”
La spensieratezza del momento e la bellezza del luogo ci fecero perdere di vista il nostro obiettivo; la visita al gran cono del Vesuvio, il sentiero per il cratere aveva appena chiuso i battenti, in quanto l’ultimo ingresso era consentito fino ad un’ora prima del tramonto.
Ci saremmo tornati l’indomani, di mattino presto. Quella sera ospitai Bernie a casa mia e , quando telefonai a mia moglie per comunicarle che quella sera avremmo avuto un ospite lei mi domandò chi fosse.
Ed io:
“Il mio chiudifila di oggi, il batterista di Iggy Pop e Paul Mcartney”, poi a casa ti spiego”.