FURORE, ALTA VIA DEI MONTI LATTARI

Col tempo ho capito che viaggiare da soli zaino in spalla è un po’come essere infedeli. Si lasciano a casa gli affetti più cari per incontrare dei perfetti sconosciuti con cui condividere il proprio tempo. Una situazione che, lo confesso, vivo da sempre senza grossi rimorsi. Forse perché i tanti km percorsi mi hanno donato la capacità di apprezzare il “qui e ora”, rigenerandomi nel corpo e nella mente e trasformandomi, ad ogni ritorno, in un marito, amico e padre migliore. Una sorta di inconsapevole psicoterapia. Avevo da tempo pianificato di percorre l’alta via dei Monti lattari (sentiero CAI 300), un percorso di 76 km spigoloso e ancora poco conosciuto, che segue l’intera dorsale dei Monti Lattari, con partenza da Cava de’ Tirreni ed arrivo nello splendido mare di Punta Campanella, a soli 4 km da Capri. In mezzo, diverse vette che superano i 1300 metri di quota e condizioni atmosferiche spesso al limite, soprattutto d’inverno.
Avevo già attraversato gli Appennini tosco emiliani percorrendo la via degli Dei, da Bologna a Firenze. E lo avevo fatto in inverno. Adesso invece volevo vivere l’emozione di attraversare un crinale appenninico a strapiombo sul mare. L’alta via dei monti lattari è un cammino in parte non tracciato che mi ha costretto più volte a cambiare l’itinerario, preferendo sentieri più sicuri a quote relativamente più basse. In compenso, però, mi ha permesso di conoscere meglio la costiera amalfitana e di apprezzarne ogni più recondita sfumatura. Erroneamente si tende a pensare che il simbolo della costiera amalfitana nel mondo sia rappresentato dal magnifico duomo di Amalfi, oppure dalle conosciutissime maioliche.
Nulla di più sbagliato.
Il cuore pulsante della costiera amalfitana è costituito dai piccoli borghi virtuosi animati, 12 mesi l’anno, dai contadini volanti. Figure mitologiche che sfidano la sopravvivenza e la forza di gravità, coltivando con maestria e fierezza insidiosi terrazzamenti posti a centinaia di metri di altezza, ai margini di costoni rocciosi.
Qui l’ingegno umano diventa opera d’arte, canalizzando le acque meteoriche, sorgive e torrentizie in area specifiche che i locali chiamano “chiazze “, utilizzate per la coltivazione di limoni, viti ed ortaggi.
Ero in cammino da due giorni, rispettando solo parzialmente la mia tabella di marcia, a causa di una pioggia incessante che aveva accompagnato fedelmente i primi km sull’alta via dei Monti Lattari e rallentando notevolmente la mia andatura, già appesantita dai 18 kili dello zaino. Non senza difficoltà, arrivo ad Agerola. Decido di passare la notte qui, ospite del mio amico Pietro che, insieme alla sua splendida famiglia, gestisce un B&B, “Al chiaro di luna”, che oramai è diventata una tappa obbligatoria per tutti gli escursionisti che passano da queste parti. Anche perché la struttura è situata in un punto strategico da dove partono diversi sentieri che uniscono Agerola con i borghi marini di Furore, Praiano e Positano. Pietro, grande conoscitore di questi luoghi in quanto cacciatore di cinghiali, mi consiglia, visto il perdurare delle avverse condizioni meteo, di abbandonare per un po’ le montagne e di proseguire lungo la costa fino a Positano; avrei allungato di qualche km ma, in compenso, avrei avuto il privilegio di poter attraversare uno dei luoghi più iconici di tutta la costiera amalfitana, Furore, meglio conosciuto come “il paese che non c’è”.
A Furore dovete sapere che non esiste un vero e proprio centro abitato e le poche case spuntano qua e là dai costoni verticali di roccia, come macchie di colore. All’alba del giorno dopo, dopo una ricca ed abbondante colazione mediterranea, sono già in cammino. Attorno a me c’è un silenzio quasi irreale, interrotto solo dal rumore dei miei passi che risuonano nell’aria come tasti di un vecchio pianoforte. Una serie infinita di scale, spesso con pendenza proibitiva, mi conducono su una terrazza con vista sull’infinito. Da qui parte “La passeggiata dell’amore”, un percorso breve ma intenso che ricorderò per molto tempo, forse per la presenza di maioliche poste ai bordi del sentiero con iscrizioni che invitano a riflettere sul tema dell’amore, non importa verso chi, una persona, la natura, la vita stessa. Un segno divino, penso. La passeggiata termina, dopo 500 metri di splendida macchia mediterranea, su un panoramico belvedere con vista privilegiata su Praiano. L’ultima maiolica posta sul ciglio del sentiero, immersa tra l’elicriso e il lentisco, mi ricorda una leggenda. Pare che il sentiero vada percorso, almeno una volta nella vita, con la persona amata. Ci tornerò di sicuro con mia moglie e mio figlio in primavera. Mi lascio alle spalle tanta bellezza e raggiungo la chiesa di S.Elia da dove proseguire verso il fiordo, percorrendo il sentiero della “Volpe Pescatrice”, chiamato così in omaggio ai contadini del luogo che lo percorrevano quotidianamente per raggiungere la spiaggia e scambiare i loro prodotti con quelli dei pescatori, quasi come una volpe che, spinta dal bisogno, lascia il bosco e si avventura lungo la costa, in luoghi sconosciuti, in cerca di nuove prede. Una targa commemorativa mi ricorda che proprio qui si innamorarono Anna Magnani e Roberto Rossellini: era il 1948 ed erano in corso le riprese di “L’amore”, film in due episodi emblematico della poetica del regista Rossellini, all’epoca coinvolto in una burrascosa storia d’amore a tre che vedeva, come terza incomoda, la teutonica attrice Ingrid Bergman. La leggenda narra che proprio il borgo di Furore fu teatro di interminabili scenate di gelosia dell’attrice verso il regista. Oggi invece di questo luogo si innamorano migliaia di viaggiatori, che, tra lo stupore e la meraviglia, immortalano e condividono il famoso ponte sospeso sul Fiordo. Io intanto continuo a camminare. Una discesa infinita che mette a dura prova le mie articolazioni. Il mio passo è regolare e in poco meno di 15 minuti percorro ulteriori 500 gradini. D’improvviso il mio sguardo si ferma su uno splendido crinale che cade in picchiata sul mare. Dalla fitta vegetazione spunta una splendida villa ottocentesca su tre livelli, completamente abbandonata. “Il palazzo dei maccaronari”. Probabilmente l’origine del nome risiede nel fatto che ad inizio 900 questa dimora fu abitata da una ricca famiglia di commercianti di pasta, ma di origine contadine. Il loggiato si presenta con splendide finestre in vetro che affacciano direttamente sulla costa, offrendo un panorama unico. Una dimora nobiliare, sobria ed elegante, che ai piani inferiori ospitava ricoveri per animali ed alloggi per i contadini che lavoravano i limoneti posti sui terrazzamenti sottostanti. In lontananza comincio a sentire il rumore delle onde del mare che si infrangono sulla battigia.
D’improvviso di fronte a me si apre uno scenario paradisiaco che mi lascia senza fiato. Una piccola baia di appena 25 metri incastonata tra due falesie dorate che cadono a picco in un mare blu cobalto. Come per magia ha smesso anche di piovere. Un timido sole fa capolino tra gli speroni di roccia ed io mi lascio riscaldare, assorto nei miei pensieri.
D’improvviso, da dietro, una mano si poggia sulle mie spalle. Mi giro di scatto ed intravedo una figura amica, inquietante e al tempo stesso rassicurante, grazie ad un sorriso a 32 denti che, a stento, si intravede dalla fitta barba nera. Si tratta di Luigi che, di questo posto è un po’il custode della memoria in quanto, dalla Primavera all’autunno inoltrato, intrattiene migliaia di turisti provenienti da tutto il mondo allietandoli con storie e racconti del borgo marinaro e dissetandoli con le sue bibite fresche che furoreggiano dal suo carretto artigianale. Lo avevo conosciuto un anno prima quando portai in visita un gruppo di turisti. Luigi indossa una vistosa fascia elastica alla gamba sinistra, ricordo di un terribile incidente che, per poco, non gli ha fatto perdere del tutto la gamba. Mi offre una birra fresca che beviamo insieme, avidamente, come due vecchi amici. Un sorso dopo l’altro fin quando il suo sguardo si perde nel vuoto. Poi, senza voltarsi, mi domanda:
“Mimmo bello questo posto vero?”
Annuisco, cercando di capire cosa mi voglia dire.
“Però la bellezza è solo una delle due facce della medaglia. Questo è un posto che esige rispetto. Qui la natura dà il meglio ed il peggio di sé. Cinque giorni fa c’è stata una terribile mareggiata. Ero solo, intento a pescare su quelle scale che vedi sotto al ponte.
Una coppia è scesa a riva per immortalare le onde ma si sono avvicinati troppo al mare e lui è stato risucchiato. La compagna si è tuffata per salvarlo ma ha fatto la stessa fine. Ho tentato di salvarli lanciando due cime. Lui è riuscito a salvarsi mentre la donna è stata inghiottita dalle onde. Si chiamava Ines ed aveva solo 35 anni”.
Il suo racconto è struggente ed i suoi occhi grandi, lentamente, si inondano di lacrime. Poi, amichevolmente, mi abbraccia e mi congeda sussurrandomi in un orecchio: “Stai sempre attento quando cammini in solitaria, questi luoghi sono tanto belli quanto insidiosi.”
Penso al mio sano egoismo, tipico di ogni viaggiatore seriale, che mi porta spesso lontano dagli affetti più cari per condividere il mio tempo con perfetti sconosciuti. Del resto Luciano De Crescenzo diceva “Tutti vorremmo avere sia l’amore sia la libertà, ma quando otteniamo il primo di solito perdiamo il secondo.
Luciano De Crescenzo. Da sempre innamorato di questo luogo e che proprio nel cimitero di Furore è sepolto. Ne approfitto per una visita discreta alla cappella di famiglia. Sulla sua tomba, con vista mare, una frase recita: “Il mare negli occhi, il Vesuvio nel cuore “.
Il mio viaggio continua. Proprio il Vesuvio è la mia prossima tappa.