CILENTO, IL CAMMINO DI SAN NILO – Unico, libero, abusivo e speciale.

Il Cilento, si sa, è un enorme atlante di storia e natura. Un luogo ameno. Non semplice da conquistare. Quando mi trovo in questi piccoli paesini non posso evitare di chiudere gli occhi e immaginare un ritorno al passato, coccolato dal calore della famiglia e da odori e sapori oramai perduti. Il Cilento ti consente di apprezzare il vero senso della vita che qui si fa progetto collettivo.
Qui la storia si sovrappone al mito.
Non a caso proprio in questi luoghi aleggia una leggenda legata al Santo Gral,  quella della tomba del re dei Visigoti Alarico, uno dei più grandi misteri della storia. Del resto la storia se non è alimentata da curiosità e da quel pizzico di pepe che solo l’immaginazione dà, si spegne.
Decido di percorrere il “Cammino di San Nilo”, un affascinante itinerario di oltre 100 km, suddiviso in 8 tappe che attraversa 13 incantevoli borghi immersi nella natura del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Come sempre sarò da solo. O meglio, in compagnia del mio inseparabile zaino da 60 litri che, oramai lo avrete capito, rappresenta la mia seconda casa. Sono partito da Sapri in totale autonomia. Con me ho solo qualche mappa cartacea. Del resto conosco bene questi luoghi e poi, lo confesso, il mio compito è stato facilitato da Arnaldo che, oltre ad essere uno dei naturalisti più’ attivi sul territorio, è anche uno dei miei migliori amici. Sarà lui il mio “Caronte”, deputato a gestire ogni eventuale emergenza. Le prime tappe di questo splendido cammino sono abbastanza semplici e conducono nel cuore del Cilento. Il mio passo è fluido, costante e mi ha condotto a Casaletto Spartano, un borgo del medio Cilento che custodisce l’oasi Capelli di Venere con le sue famose cascate. Già la strada per arrivarci è uno spettacolo. Queste cascate nascono dalle acque del Bussentino. Il nome deriva dalla pianta che qui cresce rigogliosa come non mai, la pianta capelvenere. Un particolare gioco di luci, rifrazioni e bagliori con acqua, muschio e vapore costruiscono uno spettacolo davvero particolare: una vera opera d’arte, creata da madre natura e plasmata da affusolati getti d’acqua che sono ricche in carbonato disciolto e fuoriescono gocciolando sulla superficie plasmandone il profilo. Nelle calde giornate estive è uno dei luoghi più freschi del Cilento.
Uno degli anziani di Casaletto mi ha raccontato di una antica leggenda che riguarda queste cascate legata al mito di Venere ed al suo amore tormentato con un pastorello del posto.
Le Cascate rientrano nel contesto di un’Oasi al cui interno sono presenti diversi sentieri naturalistici. Un vecchio mulino ad acqua e i ponti in legno riportano agli antichi splendori di questa zona. Oltre a quelli in legno è presente anche un ponte normanno in pietra che sovrasta la cascata.
Continuo a camminare lungo il sentiero della lontra che mi conduce, nel primo pomeriggio, alla chiesa parrocchiale di Morigerati che affaccia sulla vallata del Bussento. Un arzillo vecchietto, Giovanni, posto all’ingresso, mi dice che fu costruita nel 1300 sui resti di un edificio di culto più antico. Lo ascolto con vivo interesse, poi il mio sguardo si posa sulle sue mani. Sono gonfie, irregolari, ricoperte da solchi. Sono gli stessi solchi che in campagna ospitano il seme e permettono la crescita dei prodotti che nutrono noi e le nostre famiglie.

 

Quando sei in cammino solitario sei padrone del tuo tempo. Ascolti il tuo corpo e ne assecondi le esigenze. Mi siedo su una delle panchine presenti sul belvedere della chiesa e continuo ad ascoltare Giovanni, poi mi sdraio e, senza accorgermene, cado in un sonno profondo.
Al mio risveglio è buio pesto. Il sole è tramontato da almeno 1 ora. I viaggi in solitaria ti insegnano ad accettare qualsiasi imprevisto e a conviverci nel migliore dei modi. Bevo un sorso d’acqua dalla fontana pubblica e comincio a pensare a dove passare la notte quando intravedo, in lontananza, una figura amica. È Giovanni, l’arzillo vecchietto della chiesa. Ha aspettato pazientemente che mi svegliassi. In rispettoso silenzio. Poi, dandomi del Voi, si avvicina sorridente e mi domanda:
” Dove dormite stanotte “?
“Non lo so, potete consigliarmi un b&b?”
“Non spendete soldi inutili, vi faccio dormire nella casa canonica”
Gli sorrido e lo abbraccio.
Non riesco ad aggiungere nient’altro.
E forse è meglio così perché il silenzio è il miglior modo per esprimere la propria gratitudine.
Il mattino seguente decido, di buon’ora, di visitare l’Oasi WWF Grotte del Bussento, un percorso naturalistico tra storia e natura lungo il fiume Bussento e un suo affluente. Un sentiero di 3 km con 130 metri di dislivello tra fontane, grotte, fiumi e Mulini per macinare il grano. In realtà il sito non è ancora aperto ma grazie all’intervento provvidenziale di Arnaldo e ad una sua” fraterna” raccomandazione, le guide mi lasciano entrare ugualmente.

Le Grotte del Bussento sono un tuffo nel passato del Cilento, si entra a contatto con la natura fluviale del luogo e con la storia di chi andava a macinare il grano al Mulino, totalmente immersi nella natura. Qui è ancora possibile farsi il bagno nel letto ghiacciato del fiume.
Una passeggiata di 3 chilometri totali, tra andata e ritorno, con un dislivello di 130 metri e percorribile in 30 minuti.
In queste zone madre natura si è rivelata una straordinaria artista, capace di dipingere paesaggi suggestivi, ancora oggi percorsi da grande fascino.
Passi mille volte da un luogo e poi noti qualcosa che attira la tua attenzione come fosse la prima volta; una crepa nella roccia calcarea, un passaggio naturale che collega le due sponde del fiume o, molto più semplicemente, il suono dello scorrere dell’acqua. Una melodia armoniosa che accompagna ogni mio passo.
Insomma, è evidente come ogni mia visita in questi luoghi incontaminati faccia emergere i miei sensi primordiali. Dopo questo rapido passaggio all’oasi delle grotte, risalgo per il tramonto in direzione Rofrano e allestisco il mio campo base per la notte sul santuario di San Michele.
I cristalli calcarei riflessi dal primo sole sulle rocce accompagnano il mio risveglio ed i primi km del sesto giorno in cammino. Il cielo è terso e la temperatura perfetta. Lungo il percorso difficilmente si arrivano a superare i 10 gradi, grazie alle acque del Rio Bussentino che hanno una funzione bio regolatrice.
Risalendo il fiume ho scoperto anfratti nascosti, piccole cascate che si confondono fra il fogliame, fiori coloratissimi e libellule giganti simili a fate, vivendo un’atmosfera magica che fa a pugni con il mio stato attuale. Sento la mancanza di mio figlio. Non lo vedo da 7 giorni e non posso non sentirmi in colpa per questo. François de La Rochefoucauld asseriva che “L’assenza attenua le piccole passioni e aumenta quelle grandi, come il vento spegne le candele e ravviva il fuoco.” E allora penso al giorno in cui tornerò a casa e potrò riabbracciarlo e raccontargli delle mie avventure.
Giunto a Rofrano, prima del tramonto, cerco un posto dove dormire. Dopo gli ultimi tre giorni in alloggi di fortuna, ho bisogno di un letto comodo e di una doccia calda. L’ultima notte in sacco a pelo mi ha lasciato in eredità splendidi scenari ma anche tanta umidità ed un fastidioso mal di schiena. Mentre sono in piazza mi avvicina una figura esile e delicata. Un sorriso sornione appena celato da baffi brizzolati e ben curati. È Carlo, uno dei volontari del cammino di San Nilo. Un viandante cantastorie che considero il vero valore aggiunto di questo cammino. Dopo essersi assicurato che stessi bene mi fa una proposta:
“Sei in cammino vero? Posso essere il tuo Caronte”?
“In che senso”?
“Vieni con me, ti faccio vedere”
E prende dal cofano della sua vecchia panda 4×4, in perfette condizioni, un piccolo gommone, un remo ed un gonfiatore.
Percorriamo un comodo sentiero sulla sponda sinistra del fiume Mingardo e, dopo circa 1 km, ci fermiamo alla forra dell’Emmisi. Con il piede destro comincia a gonfiare il piccolo gommone. Un ritmo costante in battere e levare che si sovrappone perfettamente al mio battito cardiaco. Carlo mi invita a salire sul gommone e si apposta a prua, “armato” di un unico remo che maneggia con disinvoltura e che sarà’ timone e motore al tempo stesso. Lo scenario paesaggistico è meraviglioso. Sembra di essere in una favola. Stiamo navigando nel letto di un fiume dal colore verde smeraldo, incastonato tra due ripidi pareti rocciose ricoperte di lussureggiante vegetazione.
“Lo sai Mimmo di cosa abbiamo bisogno”?
Penso inevitabilmente a qualcosa di materiale, che abbiamo dimenticato a Riva: “Di cosa Carlo”?
“Di semplicità “. Poi dopo una breve pausa continua “Mia mamma mi diceva sempre di accontentarmi di cose semplici. Ero l’ultimo di tanti figli nati in pieno dopoguerra. La semplicità. È quello il segreto di una vita felice. Un pezzo di pane, il calore della famiglia, un bel paesaggio, la primavera che fiorisce. Accontentati delle cose semplici Mimmo e non sarai mai deluso dalla vita”.
L’incontro con Carlo mi ha ritemprato nel corpo e nello spirito. Percorro in scioltezza le ultime due tappe del cammino di S. Nilo, in netto anticipo sulla mia tabella di marcia. Avendo ancora qualche giorno libero a disposizione decido di tornare a far visita ad un vecchio amico che non vedevo da due anni, Giuseppe Spagnuolo, Zi’ Peppe, l’ultimo abitante del paese fantasma di Roscigno. La Pompei del 900. L’uomo che per diversi anni ha accolto i visitatori che arrivavano a Roscigno Vecchia mostrando loro il fascino dell’antico borgo abbandonato. Si è sempre definito “unico, libero, abusivo e speciale» e non vedevo l’ora di rivederlo.
Entro nel borgo fantasma di Roscigno vecchia dopo aver percorso 17 km di sentieri selvaggi e poco tracciati. Giunto in piazza do uno sguardo fugace alla panchina alla destra della fontana. Quello era il suo posto. Da dove accoglieva i visitatori vestito sempre in maniera impeccabile ed avvolto dalla combustione del fumo che usciva dalla sua pipa.
Ma oggi non c’è.
Allora mi incammino verso casa sua, la prima sulla sinistra, inconfondibile perché sul balcone sventola una vecchia bandiera del regno di Napoli. Lo chiamo. Una, due, tre volte.
“Zi Pe”…Ci siete?

 

Esce dopo qualche minuto, con indosso una elegante camicia rossa bardata da un foulard del medesimo colore e, sul capo, uno splendido cappello Panama.
È invecchiato, smagrito, cammina a fatica ed il suo respiro è irregolare.
Mi riconosce subito. E mi accoglie con un affettuoso rimprovero:
“Sono due anni che non vieni”.
“Lo so. Vi ho portato il vino”
Ora, dovete saper che tutte le volte che venivo a trovarlo gli portavo due bottiglie di vino. Una la bevevamo assieme e l’altra la conservava. Un’usanza che abbiamo mantenuto intatta negli anni.
“No, non mi va”
“E cosa volete”?
“Un gelato, fresco, al limone”.
L’unico bar presente nelle vicinanze si trovava a circa 3 km. Li percorro in 30 minuti. Fa caldo. Il rischio che il gelato si sciolga sulla via del ritorno è quasi una certezza, allora mi faccio dare dalla barista un po’ di ghiaccio tritato e lo metto in una bustina di plastica e immergo dentro i due gelati appena acquistati. Percorro i 3 km del ritorno che mi separano da Roscigno di corsa, affannando, come se stessi trasportando una sacca di sangue per un’operazione urgente. Forse inconsciamente avvertivo che un semplice gelato poteva rappresentare uno dei suoi ultimi desideri. Tornato alla base mangiamo il gelato assieme, seduti sulle scale della sua abitazione al primo piano. Lo vedo gustarsi ogni millimetro del ghiacciolo fino allo stecchetto. Prima di congedarmi gli lascio dell’acqua e del tabacco, poi lo abbraccio e gli do appuntamento a settembre, quando sarei tornato nel Cilento per lavoro.
Ma ero il primo a non crederci.
Dopo una settimana l’edizione online del “Mattino” di Napoli riporta una notizia in un piccolo trafiletto:
“È morto Giuseppe Spagnuolo, unico, libero, abusivo e speciale. L’ultimo abitante eroe di Roscigno Vecchia”